“Una legge rischiosa”

Per i filosofi antichi aria, acqua, terra e fuoco erano i quattro elementi della natura. Si trattava di una sintesi suggestiva che avrebbe consentito analisi molto più approfondite nel tempo.
Crea grande emozione, ancora oggi, pensare agli spazi immensi che l’uomo ha esplorato: il nostro globo terracqueo è un pianeta che ci affascina e ci incute timore, probabilmente perché siamo uomini piccoli nell’immensità degli spazi. Piccoli soprattutto di fronte alla sconfinata bellezza del mare.
Il Mediterraneo è un mare “antico”, il mare dei Greci, di Ulisse, dei viaggi di scoperta, delle avventure, delle battaglie, degli inganni.
Montale, un’infanzia vissuta a Monterosso, nelle Cinque Terre, ascolta la voce potente delle acque, osserva le onde che si infrangono sulla riva e dopo aver dissolto il loro argenteo rumore, tornano indietro, pronte a riprendere il loro moto. La casa degli anni giovanili del poeta era sul mare: divenuta, nel tempo, una casa lontana ma presente nella memoria, un sole asfissiante, una luce oscurata da nuvole di zanzare. “Vedere” con gli occhi e con la mente, le onde agitarsi continuamente con il loro moto ondoso, talvolta lento e regolare, talaltra roboante, provoca nel poeta un senso di smarrimento, e un’emozione che lo lascia quasi impietrito per la sua dimensione di uomo “piccolo” di fronte all’immenso.
In età adulta Montale torna con il pensiero agli ammonimenti del mare, alle sue leggi rischiose, al suo essere forza della natura. I sentimenti del cuore, che spesso si agitano, si accavallano nei vortici profondi dell’anima, insegnano al poeta che la potenza dei sentimenti è simile a quella delle onde, che si accavallano, si rincorrono, si infrangono: l’immenso mare è anche fisso, immobile: come l’animo umano, è profondo, sempre uguale, ma anche sempre diverso, in continuo fermento.
Ciò che avviene nell’immensità del mare avviene, alla fine, nei percorsi segreti dell’anima. Anche lui, il poeta, sente di doversi svuotare di tutte le impurità e delle macerie inutili e dannose dell’esistere, così come fa il mare che sbatte sulle sponde i rifiuti che lo inquinano
Montale, con la sua possente voce poetica, afferma, infatti, che liberarsi delle “inutili” macerie è anche un compito degli esseri umani. La metafora insegna.
MEDITERRANEO
di Eugenio Montale
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane
t’era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
