Un antidoto al disimpegno e alla passività

La memoria, per una lucida lettura del mondo

di Flavia Mesiano  (v. Talent-Scout n.23, pagine 14 e 15)

 

“Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via, e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice “mi ricordo”. “La memoria distingue l’uomo dall’animale, ma è anche fonte della sua infelicità”. (F. Nietzsche). La memoria è la base della nostra identità, genera consapevolezza e carica di senso la nostra storia personale e collettiva; essa rappresenta un possente strumento per una lucida lettura del mondo che ci circonda e per rispondere alle sollecitazioni del presente.

Pertanto la memoria ci rende vivi nel senso alto del termine perché ci regala la possibilità di dipanare quel filo che si srotola dall’inizio del mondo legando persone, popoli e civiltà e che, se dovesse essere spezzato o addirittura ignorato, ci lascerebbe soli e smarriti. A questo riguardo, i versi danteschi: “non fa scienza/ sanza lo ritenere, avere inteso” (1), assumono il forte rilievo di una sentenza: l’efficacia del “ritenere” si assolutizza a discapito di una generica acquisizione comune a tutti, a conferma di quanto sia determinante la capacità di memorizzare per garantire quelle conoscenze che il poeta definisce “scienza”, cioè quel substrato culturale che caratterizza la nostra stessa identità e la capacità di scelte autonome e condivise.
È questo il patrimonio a cui possiamo attingere quando vogliamo rapportarci con la realtà e comprendere il nostro vissuto: esso ci consente di stemperare l’amarezza dell’anima o provare la dolcezza dell’incanto in una ideale comunione con i “giganti” del passato, che ci hanno regalato un tesoro inestimabile, prezioso, da custodire e tramandare.

Il lavoro della memoria si avvale, pertanto, di precisi “valori” consolidati, che ci aiutano a scavare in profondità e decodificare i dati che affiorano nella nostra mente; essa determina conoscenze accurate e una formazione etica che include sentimenti di rispetto dell’altro, il valore della solidarietà e della non violenza, gli ideali di libertà e di giustizia, il rispetto dei diritti fondamentali dell‘uomo. La memoria costituisce l’antidoto alla malattia dell’irresponsabilità, del disimpegno, del disinteresse, della passività. Oggi, purtroppo, “La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono”(2).

È la generazione degli internauti, poco incline al rigore del lavoro mnemonico, spesso appagata da informazioni approssimative e generiche, sempre più irretita nel torpore del proprio particolarismo, immersa in un oblio che deresponsabilizza e rassicura. Internet ha rivoluzionato il nostro modo di memorizzare le informazioni e la rete si è trasformata in una memoria transattiva, in una “memoria esterna cui attingere le informazioni quando ci servono”. La vita online consente di comporre i tasselli della memoria tramite un lavoro collettivo, sfruttando la rete in senso sociale.

Questa attività di organizzazione delle conoscenze e del passato in generale riveste un ruolo importante nella trasmissione della memoria, ma depotenzia enormemente il lavoro di interiorizzazione dei saperi che identifica e connota ciascuno di noi: internet fornisce tutta l’informazione possibile, ma senza il filtro della “cultura”, delle “sudate carte” di leopardiana memoria, è merce senza valore. Forse corriamo il rischio della caratterizzazione di una società affetta da patologie neurodegenerative (un’epidemia di Alzheimer), incapace di ogni tipo di relazione comunicativa e affettiva, disarmata e prigioniera del proprio tempo.

1) Dante, Paradiso, canto V, vv 41-42.
2) Hobsbawm, “il secolo breve”, Milano 1997.