IL “VIZIO ASSURDO” DI CESARE PAVESE
LAVORARE STANCA
di Cesare Pavese
Traversare una strada per scappare di casa

lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo,
e non scappa di casa.
Ci sono d’estate pomeriggi che
fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale di inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle, e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. E’ per questo che a volte
c è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.
Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna, e varrebbe la pena.
[…]
Una solitudine esistenziale Cesare Pavese, un uomo e un poeta solo con se stesso: la scrittura lo aiuta a vivere, lo studio della lingua inglese, le sue eccellenti traduzioni dai poeti americani, gli consentono di costruire un substrato di interessi che spaziano dalla letteratura, alla storia di scrittori a lui familiari, alla poesia. Anche la stessa poesia di un Pavese quasi prosastico, ( lunghi versi come lingua parlata, privi di musicalità, ma fortemente efficaci nella descrizione di pensieri e di sentimenti), costituiscono una piattaforma di concetti profondi, quasi sempre legati al problema di una solitudine esistenziale che non trova sbocco. Pavese, studioso raffinatissimo, divora libri , si cimenta in testi poetici quasi prosastici, discorsivi, liberi dagli inganni della rima: il sentimento profondo del senso di solitudine spazia nella pagina scritta in piena libertà, senza essere imprigionato da una rima quasi sempre in disuso. I testi di Cesare Pavese, pur lasciando trasparire stati d’animo di solitudine esistenziale, nociva all’uomo Pavese, catturano comunque il lettore per quel senso di libertà metrica che non nuoce agli stati d’animo, ma li nobilita lasciando un solco profondo e un’impressione quasi fotografica nell’animo del lettore. La poesia diventa prosa, lasciando le immagini evocate al loro posto: ma si tratta di figure, di luoghi dell’anima, da cui emergono sentimenti asciutti, forti , da“ deserto del cuore”. Scrive Pavese, nel suo prosastico poetare: “Solamente girarle, le piazze e le strade/ |
Nella società del suo tempo, Pavese è un intellettuale impegnato, sia pure un po’ schivo. “Essa si è fermata presso il mio covone di grano, soltanto perché si sente sperduta e vuole che l’aiuti a volare nei cieli del nostro paese. ma se ne andrà presto, lo sento, sentirò sbattere le sue ali, senza neppure avere la forza di fare un tentativo, di alzare un grido per richiamarla”. In “ Cesare Pavese– Poesie”- Oscar Mondadori, 1990) |
Nota

Dieci bustine di sonnifero, una dopo l’altra: il poeta Cesare Pavese ha deciso, assumendone il contenuto, di porre fine alla sua vita.
In basso, a destra, il biglietto autografo da lui lasciato nella camera d’albergo, a Torino.
Un addio asciutto, privo di retorica:
Si legge:
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene?
Non fate troppi pettegolezzi.”
Pavese, una poesia “raccontata” che vive nel tempo
“Dentro il buio è affondata la nuda collina
e la pioggia bisbiglia. Non c’è la compagna
che ha portato con sé il corpo dolce e il sorriso.
Ma domani nel cielo lavato dall’alba
la compagna uscirà, per le strade, leggera
del suo passo. Potremo incontrarci, volendo.”
( in “ Cesare Pavese. Poesie.
Oscar Mondadori Poesia, ed.1999