Mai rinunciare alla vita

IL “VIZIO ASSURDO” DI CESARE PAVESE

LAVORARE STANCA
di Cesare Pavese

Traversare una strada per scappare di casa

Cesare Pavese ( Santo Stefano Belbo, 1908-Torino, 1950)
Cesare Pavese ( Santo Stefano Belbo, 1908-Torino, 1950)

lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo,
e non scappa di casa.
Ci sono  d’estate pomeriggi che
fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale di inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle, e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. E’ per questo che a volte
c è lo sbronzo notturno  che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.
Non è certo attendendo  nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna, e varrebbe la pena.
[…]

Una solitudine esistenziale

Cesare Pavese, un uomo e un poeta solo con se stesso: la scrittura lo aiuta a vivere, lo studio  della lingua inglese, le sue  eccellenti traduzioni  dai poeti americani, gli  consentono di costruire un substrato di interessi  che spaziano dalla letteratura, alla storia di scrittori a lui familiari, alla poesia.

Anche la  stessa poesia di un Pavese quasi prosastico, ( lunghi versi come  lingua parlata, privi di musicalità, ma fortemente efficaci  nella  descrizione di pensieri e di sentimenti), costituiscono una piattaforma di concetti profondi, quasi sempre legati al problema di una solitudine esistenziale che non trova  sbocco.

Pavese,  studioso  raffinatissimo, divora libri , si cimenta in testi poetici quasi prosastici, discorsivi, liberi  dagli inganni della rima: il  sentimento profondo   del senso di solitudine spazia nella pagina scritta in piena libertà, senza essere imprigionato da una rima quasi  sempre in disuso. I testi  di Cesare Pavese, pur lasciando trasparire stati d’animo di solitudine esistenziale, nociva all’uomo Pavese, catturano comunque il lettore per quel senso di libertà metrica che non nuoce agli stati d’animo, ma li nobilita  lasciando un solco profondo  e un’impressione quasi fotografica nell’animo del lettore.

La poesia diventa prosa, lasciando le immagini evocate al loro posto: ma  si tratta di figure, di luoghi  dell’anima,  da cui emergono  sentimenti asciutti,   forti , da“ deserto del cuore”.

Scrive Pavese, nel suo prosastico poetare:

“Solamente girarle,  le piazze e le strade/
sono vuote. Bisogna fermare una donna/
e parlarle e deciderla a vivere insieme./
Altrimenti uno parla da solo…”
 ( in “Lavorare stanca” da:
 Cesare Pavese. Poesie –Introduzione di Roberto Cantini,1980) Anche la donna diventa mitica, per il poeta.

Nella società del suo tempo, Pavese  è un intellettuale impegnato,  sia pure  un po’ schivo.
Si può essere soli in mezzo alla gente? Sicuramente, sì.
Appassionato di letteratura, Cesare Pavese,  conseguita la laurea in letteratura americana lavorando ad una tesi su    Walt Whitman, aveva intensificato i suoi “interessi americani” e la passione per la lingua inglese. ma   il vuoto che sentiva dentro di sé era legato al profondo senso di solitudine che lo attanagliava, sin da quando, ancora molto giovane, aveva ricevuto una forte delusione a causa di una donna. Lei, infatti,  gli aveva dato appuntamento  solo per burla: il  poeta, a quel tempo giovanissimo,  non se n’era reso conto, e aveva atteso la donna per delle ore, sotto la pioggia. Da giovane, ancora,   aveva sperimentato sentimenti  fortemente negativi,  di una prigionia fisica e mentale,  a causa del confino impostogli, ingiustamente, a Brancaleone Calabro, negli anni  difficili del fascismo. Il suo stato d’animo, come una spugna, lentamente si impregnava di  contrarietà  e  delusioni, nonostante un elevato grado di cultura  consentisse   al poeta di privilegiare i libri e i contenuti profondi  che da questi ultimi assorbiva avidamente. Cesare Pavese amava la scrittura,  e forse inseguiva e mitizzava  la figura femminile. Su  un’amica, Constance Dawling, aveva scritto  a Davide Lajolo:

Essa si è fermata presso il mio covone di grano, soltanto perché si sente sperduta e vuole che l’aiuti  a volare nei cieli del nostro paese. ma se ne andrà presto, lo sento, sentirò sbattere le sue ali, senza neppure avere la forza di fare un tentativo, di alzare un grido per richiamarla”.
Ma certamente, si trattava di un presagio funesto…

In “ Cesare Pavese– Poesie”- Oscar Mondadori, 1990)

Cesare Pavese con Maria Bellonci
Cesare Pavese con Maria Bellonci

Nota

Cesare Pavese e Constance Dawling
Cesare Pavese e Constance Dawling

Dieci bustine di sonnifero, una dopo l’altra:  il  poeta Cesare Pavese  ha deciso, assumendone il contenuto, di porre fine alla sua vita.

In basso, a destra,  il biglietto autografo da lui  lasciato  nella camera d’albergo, a Torino.
Un addio asciutto, privo di retorica:

Si legge:
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene?

Cesare Pavese addio

Non fate troppi pettegolezzi.”

Pavese, una poesia “raccontata” che vive nel tempo

 

“Dentro il buio è affondata la nuda collina
e la pioggia bisbiglia. Non c’è la compagna
che ha portato con sé il corpo dolce e il sorriso.
Ma domani nel cielo lavato dall’alba
la compagna uscirà, per le strade, leggera
del suo passo. Potremo incontrarci, volendo.”

( in “ Cesare Pavese. Poesie.
Oscar Mondadori Poesia, ed.1999