Mantenere un segreto per tutta la vita. È giusto tacere?

Il silenzio è un furto di verità

Malala Yousafzai, Premio Nobel per la PACE 2014

Un film realizzato su due piani in cui si intersecano passato e presente. Anche la vita umana si dipana su questi stessi fili. Il film è quasi sempre fedele alla narrazione semplice e chiara di Khaled Hosseini: nell’ultima parte, alcuni eventi traumatici narrati con dovizia di particolari nel romanzo, e non influenti nello sviluppo dei fatti, (il piccolo Sohrab non riesce a ritrovare l’uso della parola per le violenze subìte) vengono deliberatamente trascurati nella versione cinematografica.

È evidente che si tratta di una scelta utile a snellire la storia, e a non appesantire la riduzione filmica del romanzo. Inizialmente, i colori, l’ambiente, i costumi di una terra lontana da noi, diffondono messaggi subliminali su un mondo diverso ma ugualmente affascinante, dove, pur non essendo rispettato il concetto di uguaglianza, molti uomini sono legati dagli stessi riti e dalle stesse tradizioni.

Le immagini che scorrono, inizialmente, nel film, sono un tripudio di colori e di suoni. La seconda parte rappresenta, con immagini talvolta crude, la bellezza di paesaggi montuosi, aspri, talvolta desolati, dei quali l’uomo è tuttavia il dominatore. Dopo un’infanzia quasi felice, ma con delle zone d’ombra che lo spettatore individua immediatamente, Amir e suo padre, Baba, sono costretti a fuggire dall’Afghanistan a causa della guerra.

La loro nuova vita è in California, dove Amir studia, scrive, si innamora, si sposa. Gli anni passano, il destino tesse la sua tela. Amir riceve una telefonata: “Vieni. Esiste un modo per tornare ad essere buoni” dice Rakim Khan, amico di Baba, un attimo prima di riappendere. (pag 202).Questa frase pronunciata da Rakim Khan, apre nuovi squarci nel film, con esiti insospettati.

Concorso Grafico 2017 “Letteratura e Cinema” Elaborato di Elena Balau, classe II E, sul tema “Il cacciatore di aquiloni” Liceo Artistico “Preti-Frangipane”, Reggio Calabria

L’atmosfera cambia decisamente, quando Amir incontrando in Pakistan Rakim Khan, il vecchio amico di suo padre, viene a conoscere segreti che lo sconvolgono.
Ali è morto, Hassan è stato ucciso, suo figlio, Sohrab, è in orfanotrofio.
L’atmosfera cambia nel paesaggio ma anche nell’atteggiamento del protagonista, ribellatosi violentemente al “furto di verità” che lo ha turbato, e ciò nonostante, desideroso di pagare il suo debito con Hassan e di rivedere la sua vecchia casa. Cambia anche agli occhi dello spettatore, che osserva con sorpresa e con ammirazione la bellezza aspra, imponente e solitaria di un immenso montuoso paesaggio.
Che osserva scene dolorose di guerra. Amir attraversa territori desolati, ambienti depredati e distrutti.

Con l’autista Farid, che, imparando a conoscere il giovane naturalizzato americano, impara a capirlo e a stimarlo, va alla ricerca – e alla salvezza – del nipote Sohrab. Sfuggire ai talebani non è impossibile. Il ragazzino verrà salvato avventurosamente, e diventerà anche lui, come suo padreHassan, un cacciatore di aquiloni. Il suo futuro potrà essere felice, nonostante tutto.

“Come aveva potuto mentirmi per tutti quegli anni? Mentire ad Hassan? Non era stato Baba a dirmi, guardandomi negli occhi: “C’è un solo peccato. Il furto… Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità.”?

E ora, dopo quindici anni dalla sua morte, venivo a sapere che proprio lui era stato un ladro. E un ladro della peggiore specie, perché le cose che aveva rubato sono sacre: a me il diritto di sapere che avevo un fratello, ad Hassan l’identità e ad Ali l’onore. (…)

Dopo tutto, Baba ed io eravamo più simili di quanto non avessi mai sospettato. Entrambi avevamo tradito le persone che avevano dato la vita per noi. Mi resi conto che Rakim Khan non mi aveva chiamato solo perché riparassi alle mie colpe, ma anche a quelle di Baba.

(Da “Il cacciatore di aquiloni”, pagine 236,237)