“GENTE IN ASPROMONTE”
“E’ una vita alla quale occorre essere iniziati per capirla, esserci nati per amarla, tanto è piena, come la contrada, di pietre e di spine.”

(da “Gente in Aspromonte” a cura di Aldo Maria Morace, Garzanti, 2017, pag.10)
“Non erano le otto, quando l’Argirò entrava nel palazzo dei Mezzatesta… Per la prima volta, Antonello capiva di essere in mezzo a qualcosa di ingiusto… e si sentiva come un angelo caduto.”( ibidem, pag.12)
“. Essere servi in quella casa era già un privilegio (… )Dovunque ci si voltava era terra di questa casa. Era loro la terra, loro le ulive che vi cadevano sopra, erano loro le foreste sui monti intorno, loro i campi tosati di luglio…” ( ibidem, pag.13)
“L’Argirò si avvicinò e quello, con una voce strascicata, lontana, pronunziò: “Tu puoi andare da Ignazio Lisca.
Quello che ci ha i denari e li dà in prestito. Digli che ti ci mando io.”( ibidem, pag.22)
“ La sera era chiara, c’era la luna Erano intinti di luna gli alberi e la montagna, il mare lontano…”… Pareva di sentire la voce delle fonti ai piedi dei monti, o dei fiumi risecchiti che si ricordavano del loro boato…”(ibidem, pag.30).
Corrado Alvaro nacque a San Luca nel 1895. Il padre era maestro elementare, la madre proveniva da una famiglia della media borghesia.
Ebbe la possibilità di studiare, di vivere in collegio, di impadronirsi di un ottimo bagaglio culturale, di viaggiare: Milano, Parigi, Roma, Berlino, poi ancora Parigi, diventarono esperienze importanti per il giovane Alvaro, che maturò molte competenze nel lavoro e nella vita. Nel gennaio ‘45 fondò il Sindacato Nazionale Scrittori, nel 1951 vinse il premio Strega, collaborò a varie riviste e giornali, fu tra i firmatari del “Manifesto degli Intellettuali antifascisti” di Croce. La sua biografia è ricca di eventi e di esperienze, la sua bibliografia è immensa. Il romanzo breve “Gente in Aspromonte”, pubblicato per la prima volta da Le Monnier, (Firenze) rappresenta un autentico capolavoro, e viene associato a numerose altre opere dello stesso Alvaro. “L’imperativo etico dello scrittore, che vive in esilio l’altra parte della vita – è di continuare a nutrire la propria arte con le intuizioni dell’infanzia e la leggerezza delle memorie…” ( da “Gente in Aspromonte”- Introduzione a cura di Aldo Maria Morace).
( Dall’Introduzione al romanzo, a cura di Aldo Maria Morace)
Un palcoscenico aperto su esperienze di vita dura e difficile
LA CALABRIA DI CORRADO ALVARO
A cura di Erregì
Corrado Alvaro pubblicò il romanzo “Gente in Aspromonte” negli Anni Trenta.
Altri tempi, che restano nella memoria collettiva. Ma il tempo corre velocemente, le condizioni di vita si evolvono, gli uomini continuano a portare sulle spalle i loro fardelli di lavoro, di fatiche e di speranze. Quali sentimenti, quali valutazioni farà il lettore scorrendo le pagine di un testo così amaro? Oggi la povertà è veramente scomparsa? Si legge, nel romanzo, che strati sociali più modesti si cibano di pane e cipolla, che i pastori, sulle montagne, “intingono grandi fette di pane nelle caldaie fumanti sulla neve bianca”. Negli anni Duemila le condizioni di vita sono più umane, la montagna offre maggiori risorse, taluni centri montani si sono trasformati in località turistiche dotate di seggiovie e pronte ad accogliere gli appassionati: della neve, in inverno, e del verde, in estate. Ma…la lettura del romanzo breve di Corrado Alvaro apre un drammatico scenario di povertà. “Gente in Aspromonte” costruisce un palcoscenico immenso, nel cui sfondo si muovono figure indimenticabili di uomini e donne: non certo eroi di cartapesta, ma persone reali, veramente esistite, e cariche di una verità che emerge in ogni pagina della narrazione. Protagonista, in Aspromonte, negli Anni Trenta, è un intero paese, con i suoi vicoli, i suoi sassi, la sua povertà, le case di frasche e di fango che i pastori costruiscono sulla montagna allo scopo di avere un riparo per se stessi e per il loro bestiame. Nel paese, tutte le risorse economiche appartengono ad una famiglia di signori, i Mezzatesta, padroni per vocazione e per mestiere, mentre nelle strade circolano frotte di ragazzini laceri e scalzi. Nelle grandi cantine delle famiglie ricche, invece, (due sole famiglie nell’intera comunità) vengono accumulate grandi riserve di cibo, mentre le donne, sulle porte delle loro modeste abitazioni, non esitano a tagliare larghe fette di pane da consumare, con la cipolla, sopra un desco immaginario. Nel romanzo di Corrado Alvaro si leggono varie storie di povertà, di invidia, di cattiveria, di rivalità, persino da parte di ragazzi che si organizzano per bande.
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Tra i personaggi minori che animano la narrazione, si accampa, dignitosa e solitaria, la figura di un giovane pastore, Antonello Argirò, che, recatosi in montagna con il padre per accudire gli animali, assiste ad una disgrazia: i buoi che padre e figlio hanno il compito di custodire, sono precipitati nel burrone. La sorte avversa non dà scampo al pastore e il percorso di vita della famiglia diventa sempre più duro e difficile. Unica nota lieta, la nascita di un secondogenito a cui sarà dato il nome di Benedetto. Il ragazzo, allevato orgogliosamente e con amore, entrerà in seminario, diventerà prete, mentre Antonello avrà il compito di continuare a lavorare duramente, anche per trovare le risorse economiche necessarie al fratello. “Aspettava la sua sorte.. Quando vide i berretti dei carabinieri e i moschetti puntati su di lui di dietro agli alberi, buttò il fucile e andò loro incontro. ![]()
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