La ‘ndrangheta nel romanzo di Mimmo Gangemi, "Il Giudice Meschino"

Così lontana… così vicina

(v. Talent-Scout n.22, pag. 41)

“Il Giudice meschino”di Mimmo Gangemi è un romanzo uscito nel 2009. Si legge tutto d‘un fiato, non certo perché di contenuto “leggero”, ma perché è intrigante nel presentare situazioni e ambienti, persone descritte nelle più incredibili sfaccettature e non personaggi ingessati. Ma anche perché apre su un tema scottante, su figure per alcuni aspetti sconcertanti, e sul fascino perverso dei riti della ‘ndrangheta. Una piaga sociale che si è diffusa come un cancro nella nostra terra: una ‘ndrangheta dunque a noi così vicina, ma lontanissima dalla mentalità della gente perbene, e dunque, così lontana.

Una volta iniziata la lettura del romanzo, è difficile chiudere il libro per dirsi: “continuerò domani“: la storia è avvincente, un giallo striato di rosa. Lo scrittore rappresenta con un linguaggio accattivante l‘antagonismo tra bene e male; la sua descrizione dei tipi umani si serve di metafore, di metonimie, di antonomasie, figure retoriche rivelatrici di una solida cultura poggiata sul forte spirito di osservazione dell‘autore, la cui simpatia, la correttezza e cordialità vengono elogiate da chi ha avuto il piacere di conoscerlo. Osservarlo su You Tube, mentre rilascia interviste, corrobora l‘idea che si tratti di una persona di ottima cultura ma anche in grado di indagare nell‘animo umano. È probabile che il film ispirato a questo suo romanzo potrà servire da cassa di risonanza per la fama dello scrittore nel mondo.

Molti ritengono, comunque, che il capolavoro di Gangemi sia “La Signora di Ellis Island“, un romanzo pubblicato nel 2011, già noto nei circuiti giusti, quelli di chi legge “per vocazione”, scegliendo di sedersi in poltrona dopo avere spento una TV diventata sempre più rumorosa, vanitosa, superficiale, ripetitiva, come una donna vuota.
La signora di Ellis Island” è una donna vestita di azzurro, con un bambino in braccio. L‘episodio dell’incontro con questa “signora” dà l‘avvio ad una storia, individuale e collettiva, che si sviluppa lungo l‘arco di tutto un secolo, il Novecento.
“Il giudice meschino” ha un soggetto diverso. Protagonista è un magistrato definito con un aggettivo che non gli si cuce bene addosso, se non inizialmente, quando Alberto Lenzi, giudice in una Procura disagiata, (quale mai potrebbe essere?) si dimostra pigro, indolente, dedito al vizio delle carte e alle belle donne. Ma un episodio traumatico – la turpe uccisione di un suo collega ed amico, Giorgio Maremmi – ridesta in lui l‘uomo che sembrava del tutto assopito. Lenzi si sveglierà dal suo letargo e risolverà brillantemente un caso intricato e difficile, per una serie di morti ammazzati e di fili nascosti, mossi da pupari insospettabili. Il romanzo ha un seguito: è “Il Patto del Giudice“, uscito nel 2013, opera in cui Alberto Lenzi si riscatta completamente, dopo indagini condotte con determinazione ma soprattutto con astuzia.

Mimmo Gangemi, è un ingegnere il quale nella scrittura ha trovato la sua autentica vocazione, corroborata dagli studi giovanili, dall‘esperienza del mondo, dalla sua stessa professione. Nel suo romanzo “Il giudice meschino” emergono il linguaggio immaginoso della ‘ndrangheta, la figura di un indiscusso “capobastone”, la forza della barricata eretta dalla giustizia per contrastare fenomeni delittuosi, l‘invidia e la maldicenza presenti nei piccoli ambienti di provincia. E ancora, la bellezza femminile, la suggestione del paesaggio calabrese, di grande fascino e di grande abbandono, mentre il bene e il male in antagonismo hanno i loro eroi e i loro carnefici.
Una terra bella e terribile, la Calabria, con un‘immagine deturpata da una piaga finora inguaribile.