Un poeta “maledetto”, ma non per vocazione (a cura di Erregì)

CHARLES BAUDELAIRE, TRA L’ÉNNUI E L’IDÉAL

 

L’albatro

di Charles Baudelaire

 Spesso, per divertirsi, gli uomini d’equipaggio
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari
che seguono, indolenti compagni di viaggio
le navi scivolanti sopra gli abissi amari.

Non appena deposti sulla plancia
questi re dell’azzurro, impacciati e vergognosi,
lasciano pietosamente le loro grandi ali bianche 
cadere ai loro fianchi, come fossero remi.

Quel viaggiatore alato, com’è sgraziato e flaccido!
Egli, prima sì bello, com’è comico e buffo!
Uno gli stuzzica il becco con la pipa,
l’altro mima, beffando, l’infermo che volava.

E’ simile il poeta al principe delle nubi
che sfida le tempeste e si ride dell’arciere.
Esiliato sulla terra, un mezzo agli uomini,
le sue ali giganti gli impediscono di camminare.

 

 

Albatros
Un albatro nell’azzurro

Il dissidio intimo  del poeta 

“Milioni di uomini costruiscono  la loro esistenza giorno per giorno: un equilibrio stabile, una vita serena, gli affetti familiari, un progetto dopo l’altro.
Ma  non mancano  personaggi di tutt’altra levatura:  donne e uomini  geniali, che via via sono pervenuti  alla ribalta della  letteratura e della storia del mondo.
Troviamo le  loro impronte sui libri, nelle opere d’arte, nelle  pubblicazioni   di ogni epoca e di ogni Paese.
Uno di questi eccezionali, tormentati  talenti, è Charles Baudelaire (Parigi, 1821-1867).
“Intenditore finissimo di pittura, tende a realizzare una poesia  che dell’uomo, dei suoi disperati tentativi di rialzarsi, della ininterrotta altalena
tra  énnui e idéal, è in preda ad una crudele ambivalenza affettiva.”

( Guglielmino, Principato, pag.21)

L’immagine dell’albatro è certamente una figura reale, che tuttavia assume un significato simbolico universale, legato alla genialità di un poeta, molto vicino ai “poeti maledetti” dell’Ottocento.   L’autore del testo  che si legge nella pagina è Baudelaire, una vita difficile e, forse in qualche misura poco felice: disordinata, tormentata, sicuramente breve,  anche a causa dell’assunzione costante di alcol e droghe. Ma nei momenti di lucidità  Baudelaire  si dedicava  soprattutto alla creazione poetica. Testi  profondi, sofferti, in cui  personaggi mitologici,  Sisifo, ad esempio, ricorrono prepotenti, riuscendo ad arricchire in modo geniale  la più autentica dimensione della poesia: l’albatro , dunque, non è soltanto un volatile superbo, è  una figura simbolica in cui Baudelaire si riconosce, e nella quale si identifica.

Visto nella dimensione dell’azzurro, l’albatro si offre imponente e magnifico alla vista degli uomini: quando è catturato, molestato,  prigioniero  in grave disagio sul ponte della nave, non più maestoso come nel volo,  stuzzicato dai marinai che  lo tormentano, diventa comico e buffo. L’albatro rappresenta la figura del poeta: un creativo, colto, sensibile, tormentato, condizionato dalle sue “ali” immense.

Charles Baudelaire (Parigi, 1821-1867)
Charles Baudelaire  (Parigi, 1821-1867)

“Le lettere  ai familiari,  scoperte recentemente, hanno gettato nuova luce sul dramma  vissuto da Baudelaire fanciullo tra le ombre dei “grandi” che non amava e che  l’ossessionavano: il fratellastro,  che aveva diciotto anni più di lui e che, sposato, faceva il magistrato, ed il patrigno, autoritario e severo, con cui ebbe rapporti alquanto difficili.

 

La famiglia, centrata sull’amore della madre, resterà l’idea fissa di questo “maledetto”  non per vocazione…
Baudelaire finirà con il guardare la sua famiglia come un Lucifero un po’ byroniano che scruta il cielo da cui fu scacciato”.

A cura di  Giovanni Macchia, pag VII. Garzanti, 1975